lunedì 27 maggio 2013

Il calabrese che odia le donne

Premesso. Non mi iscrivo alla schiera dei calabresi miei connazionali che inforcano la lente del vittimismo più putrido.
Premesso che, d'altra parte, altri mi ascrivono fra le fila dei traditori della patria, in quanto emigrante e in quanto sparlante della sua terra natìa (basta fare un giro fra alcuni gruppi deliranti su facebook che amano attaccarmi, ma ognuno, si sa, ha i suoi divertimenti).
Ecco, premesso tutto questo, cari giornalisti, siete ancora caduti nel più bieco razzismo nei confronti della Calabria.

Il caso è quello della 16enne accoltellata e bruciata viva a Corigliano Calabro. Non passano nemmeno 24 ore e il Corriere della Sera, non Libero con le sue sparate o il Giornale con il suo populismo, pubblica la lettera di una calabrese (tu quoque...) partorita da una mente fuori dalla realtà. Fuori da ogni aggancio con il vissuto reale della Calabria.

Si ammazzano le donne in tutta Italia? Ma solo nel caso della Calabria ci si interroga sul maschilismo congenito della società. Con il sottinteso, manco tanto implicito, che la società calabrese peschi da un passato retrogrado e medioevale.

Donne vengono violentate, stuprate, attaccate, minacciate, colpite in tutta Italia? Ma solo nel caso della Calabria si sfornano analisi teoriche sulla natura sostanzialmente femminicida di quei popoli. Non mi sorprenderei che al prossimo omicidio, al prossimo caso, si rivalutassero gli studi di Lombroso.

Non cadrò nel qualunquismo di chi dice "poteva capitare dovunque". E specifico. No, il discorso deve essere impostato, oltre che sulla particolarità di ogni caso che sostanzialmente fa storia a sé, su una società, quella italiana, che non ha saputo e non sa accettare il ruolo della donna.

E, care donne, la colpa è anche vostra. Le vostre battaglie per la libertà del corpo si sono ridotte a svenderlo, questo corpo. E a usarlo, questo scopo. Anche da voi deve partire un'analisi di coscienza.







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