lunedì 24 giugno 2013

Pd, l'ancella del bunga-bunga

Da partito con afflati ambiziosi e con progetti magniloquenti di diventare punto di riferimento di una sinistra aperta, cosmopolita, moderna, il Pd si sta riducendo ad ancella nel bunga bunga di Silvio Berlusconi. Il suo refrain è: "Non incida sul governo".

Refrain che va bene su tutto, come le scarpe nere.

Berlusconi condannato per il caso Ruby? "Che questo non incida sul governo"

Berlusconi rischia il rinvio a giudizio per la compravendita di senatori che fece cadere il governo Prodi? "Che questo non incida sul governo".

Berlusconi avrebbe evaso le tasse in Irlanda? "Che questo non incida sul governo".

Berlusconi sarebbe il mandante dell'omicidio di Gheddafi? "Che questo non incida sul governo"

Berlusconi condannato per aver ascoltato l'intercettazione "Abbiamo una banca" di Fassino? "Che questo non incida sul governo".

Berlusconi vuole abolire l'Imu per tutti e chi se ne fotte dell'Europa "tanto mica ci cacciano" con tanti saluti alla credibilità internazionale? "Che questo non incida sul governo".

Twitter: @agoerre

mercoledì 19 giugno 2013

Racconti da via Padova/ Personaggio numero tre

A N. piaceva la birra. E si credeva un personaggio stereotipato. Anzi, si percepiva come uscito proprio dall'album dei luoghi comuni. D'altronde, come gli rammentava il figlioletto, le verità “date sotto forma di luogo comune sono molto più profonde e difficili di quello che sembrano”. Non erano, certo, parole sue, ma del suo guru letterario, David Foster Wallace. Il nome lo aveva ben impresso in mente. Non foss'altro che la sua foto troneggiava sopra la scarna libreria di casa. Comunista negli anni Sessanta, movimentista nei Settanta, edonista negli Ottanta, giocatore in Borsa nei Novanta, squattrinato nei Duemila. Più stereotipato di questo si muore, pensava.

Stereotipato nell'accumulare capitali, stereotipato nel perderli con la fine della bolla finanziaria di internet, stereotipato nell'essere abbandonato dalla moglie, stereotipato nel trovare come unico lavoro quello di spazzino dell'Amsa, Milano, Italia, Europa.

Stereotipato come quella via, via Padova, Milano, Italia, Europa. Un luogo comune lunga 4 chilometri. A N. interessava poco della gente di via Padova. Doveva guidare il suo furgoncino, lui. Cambiare i sacchetti di plastica, lui. Svuotare quelli pieni, lui. Una noia di lavoro lunga 4 chilometri, quella.

Turno di notte, per N. Non si ricordava più se per sua scelta o meno. Ci si era trovato, a lavorare con il buio, e ci si era abituato, scrollando le spalle come spesso si trovava a fare, senza mai sbuffare o comunicare con il corpo rabbia o sconforto. Una scrollata di spalle e via.

Al bar/emporio/supermarket del peruviano N. non rammenta niente di particolare prima di quello che successe. I soliti briachi, il solito innocente, innocuo, anticapitalistico brusio fra reietti con in mano lattine di birra troppo piccole per la loro sete, troppo grandi per le loro ambizioni.


N. lo prese dritto sul volto, il colpo. Senza un perché, uno stereotipato, sensato, razionale, qualsiasi perché. E il sangue... Oh sangue.

sabato 15 giugno 2013

A Genova non successe niente.

La polizia non va condannata. Mai. I politici che presiedettero quella "macelleria messicana"? Non scherziamo. A Genova, nel 2001, non successe niente. Ma proprio niente.

Non ci fu una totale, TOTALE, sospensione dei diritti civili, di protesta, di manifestazione.
Non ci fu un pestaggio deliberato, cosciente, prolungato e sadico da parte di poliziotti, carcerieri, personale medico e infermieristico.
Non ci fu lo strappo di piercing, il taglio di dread, gli abusi sulle donne, le frasi offensive, l'incitamento al fascismo.
Non ci fu una città ostaggio delle forze dell'ordine. Sì, delle forze dell'ordine. Dei VERI violenti.

E la magistratura è bella e brava, di sinistra, forte coi forti e debole coi deboli. E sì, io sono Ernesto Che Guevara.


mercoledì 12 giugno 2013

Perché amo David Foster Wallace

Avvertenza.
Quella che segue è una dichiarazione d'amore e, come tale, altamente soggettiva e senza nessuna pretesa letteraria o arroganza intellettualoide.


Quindi, perché amo David Foster Wallace?

Perché non amava il finale, tanto che nella Scopa del Sistema troncò una frase a metà. D'altronde, nella vita di tutti i giorni mica c'è un finale, magari con una morale da trarre o una linea da tracciare?

Perché amava così tanto la vita che da un certo punto in poi volle viverla senza aiuti chimici che gli sarebbero serviti per scacciare la bestia della depressione. Non ci riuscì.

Perché denunciava le storture di una società il cui motore era spinto perennemente al massimo alla ricerca del divertimento tanto da evitare che i suoi romanzi fossero l'ennesimo ingranaggio di quel divertimento.

Perché i suoi romanzi ti assediano, ti urticano, ti soffocano, ti stroncano. Non ti lisciano il pelo, non ti perculano, non eccitano il tuo ego da sfigato.

Perché era fragile, non un cazzo di finto eroe sapientone che spargeva verità.

Perché rappresentava la noia. Di un uomo, di un popolo, di una nazione, di una generazione. Noia del lavoro, noia della carriera, noia della normalità, persino noia dell'essere annoiati.

Perché i suoi personaggi sono antieroi, hanno dipendenze, sono fragili, sono contrastati e urticanti, a volte anormali, a volte tristemente normali.

Perché è impossibile recensire romanzi come Infinite Jest, storie che si intrecciano fra di loro fino ad asfissiarsi a vicenda.

Perché David Foster Wallace era "fottutamente umano".

venerdì 7 giugno 2013

Un discorso politico dal 2036

Un discorso politico che potrebbe andare bene per qualsiasi stagione politica.

Per qualsiasi colore politico.

Per qualsiasi uomo politico.



Roma, 2036

Amici elettori, amiche elettrici,
la situazione economica è tale che ci siamo trovati costretti a varare questo governo di unità nazionale e per questo ringrazio i volenterosi del Pd e del Pdl che, superando le reciproche diffidenze, hanno, per il bene del paese, unito le loro forze.

Il 29esimo anno consecutivo di recessione ci ha costretto a questo passo, ma sarà l'ultimo. Dopo che avremo superato le emergenze, Pd e Pdl torneranno a combattersi lealmente sul terreno politico.

Visto che la politica, ahimé, ha fallito, il governo, in accordo con l'illustre e lungimirante nostro Presidente della Repubblica, ha varato una commissione di saggi che redigerà una relazione saggia che dovrà essere sottoposta a una commissione di supersaggi che redigerà una relazione supersaggia che dovrà essere sottoposta a un ultrasaggio che, se non si sarà frattanto appisolato, consegnerà la bozza definitiva al Parlamento che, a questo punto, potrà tornare a litigare attorno alla bozza.

Tutto questo in 18 mesi, non di più.

Intanto, visto che noi del governo avremo poco da fare, taglieremo un po' le pensioni e favoriremo la flessibilità del lavoro in un mercato dove ancora resistono ingiustificate sacche di sclerotico immobilismo. Per esempio, girando per le piazze di questo straordinario Paese, mi è capitato di parlare con un padre il cui figlio ha firmato un contratto di un mese. Incredibile! Che vergogna! E' per questo che gli imprenditori non assumono più. Perché ci sono ancora sindacati che obbligano alle assunzioni di un mese.

Bisogna fare in modo che i contratti durino 1 giorno in modo che i nostri imprenditori possano programmare il futuro con una certa sicurezza, senza il pestilente fiato sul collo di chi pretende, ancora nel 2036, la pausa pranzo!

Bene, siccome ora si è fatto tardi, dirò un po' di frasi retoriche così come mi sovvengono.

Le famiglie non arrivano alla fine del mese.
I giovani sono il nostro futuro.
Le banche aiutino le giovani coppie nell'acquisto della prima casa.
Non ci sono più mezze stagioni.

Enrico Letta


martedì 4 giugno 2013

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo mi dicevano di leggere i giornali ché così avrei dominato la realtà del mondo. Poi ho conosciuto i giornalisti, la guerra fra bande dei giornalisti, i salotti dei giornalisti. La Repubblica vs il Fatto Quotidiano. il Giornale vs l'Unità. Libero vs resto del mondo

Quando ero piccolo mi dicevano di studiare Dante e Manzoni e Pascoli. Ma ci siamo persi gli scapigliati, i bohémien, Baudelaire, Pynchon, Don De Lillo, David Foster Wallace, Jonathan Franzen.

Quando ero piccolo mi dicevano che la tv faceva male. Che il pc faceva male. Che l'alcol faceva male. Che la droga faceva male. Poi venne Michael Douglas che ci disse che il sesso orale fa venire il tumore.

Quando ero piccolo mi dicevano che l'Italia era il posto più bello del mondo. Che la Calabria aveva i difetti ma che, beh, vuoi mettere?, c'è il sole, il mare.

Quando ero piccolo mi dicevano che avrebbe pagato l'onestà. Poi... beh, questa la sapete.

Quando ero piccolo mi dicevano che esiste Dio, Gesù, Spirito Santo, Madonne, Santi e compagnia viaggiante. Poi ho scoperto il MacAllan invecchiato 21 anni a 200 euro la bottiglia.

Quando ero piccolo mi dicevano che il topolino prende il dentino e ti lascia il soldino. Che la cicogna porta i bambini. Che in Svizzera le strade sono pulite e i marciapiedi sono puliti e le panchine sono pulite. Che Saddam Hussein era cattivo ma meglio lasciarlo al potere ché dopo un po' ci siamo scocciati di combatterlo. Poi venne Bin Laden e ci portò via tutti i sogni.

Quando ero piccolo i cartoni erano hollybenji che giocavano a calcio, milaesciro che giocavano a pallavolo, mimì che giocava pure a pallavolo ma quella era sempre triste. Poi venne Peppa Pig che grugnisce.

Quando ero piccolo ero piccolo. Poi sono stato grande.

(agoerre)

sabato 1 giugno 2013

Perché abolire il finanziamento pubblico

A parte che la toppa è peggiore del buco e che, come scrive qui la bravissima Arianna Ciccone, la presunta abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti è una baggianata di proporzioni immani di cui Enrico Letta (a proposito, che ha fatto fino a ora il suo governo? Parlo di cose concrete, non di annunci deliranti) si dovrebbe solo vergognare.

Ecco, a parte questo, perché dovremmo cedere al mefistofelico motto grillesco "Basta soldi pubblici ai partiti"? E' vero, i partiti hanno speso male i nostri soldi. Ma non per questo vuol dire che l'istituto è da abolire.

Come ha rilevato un tweet del giornalista di Radio24 Simone Spetia sono pochissimi i Paesi che non prevedono un minimo di finanziamento pubblico. Persino gli Stati Uniti, patria del capitalismo, i partiti ricevono un pur minimo aiuto statale.


Se si vuole privatizzare la già asfittica politica italiana, lo si faccia pure.

Ma che almeno ci si renda conto di ciò che questo comporta. Niente impedirà, in un Stato come il nostro in cui nessuno controlla niente, che le condizioni economiche e finanziarie dei pochi che contano possano decidere le sorti dei partiti, dei suoi uomini e di quelli che dovrebbero essere i nostri rappresentanti.