mercoledì 12 giugno 2013

Perché amo David Foster Wallace

Avvertenza.
Quella che segue è una dichiarazione d'amore e, come tale, altamente soggettiva e senza nessuna pretesa letteraria o arroganza intellettualoide.


Quindi, perché amo David Foster Wallace?

Perché non amava il finale, tanto che nella Scopa del Sistema troncò una frase a metà. D'altronde, nella vita di tutti i giorni mica c'è un finale, magari con una morale da trarre o una linea da tracciare?

Perché amava così tanto la vita che da un certo punto in poi volle viverla senza aiuti chimici che gli sarebbero serviti per scacciare la bestia della depressione. Non ci riuscì.

Perché denunciava le storture di una società il cui motore era spinto perennemente al massimo alla ricerca del divertimento tanto da evitare che i suoi romanzi fossero l'ennesimo ingranaggio di quel divertimento.

Perché i suoi romanzi ti assediano, ti urticano, ti soffocano, ti stroncano. Non ti lisciano il pelo, non ti perculano, non eccitano il tuo ego da sfigato.

Perché era fragile, non un cazzo di finto eroe sapientone che spargeva verità.

Perché rappresentava la noia. Di un uomo, di un popolo, di una nazione, di una generazione. Noia del lavoro, noia della carriera, noia della normalità, persino noia dell'essere annoiati.

Perché i suoi personaggi sono antieroi, hanno dipendenze, sono fragili, sono contrastati e urticanti, a volte anormali, a volte tristemente normali.

Perché è impossibile recensire romanzi come Infinite Jest, storie che si intrecciano fra di loro fino ad asfissiarsi a vicenda.

Perché David Foster Wallace era "fottutamente umano".

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